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sabato 12 agosto 2017

A sarza da mamma

Oggi che i pomodori sono sui banchi dei supermercati come se fosse sempre estate, vale la pena fare la conserva secondo la tradizione casareccia? Non potremmo evitarci la fatica, mamma?

No! non è la stessa cosa.
Perché? Insieme ai pomodori trovi anche il basilico, le cipolle e i peperoni...
Sì ma non sono odorosi come lo sono adesso, maturati in pieno campo e baciati dal sole d'agosto. E poi ho già prenotato sei cassette di pomodori a fiaschetto. Non ci vorrà molto per preparare la salsa come piace a me. In un giorno ci togliamo il pensiero...

A sarza da mamma è gustosissima. Lei sa dosare gli aromi senza pesare nulla. Ad occhio, per esperienza, getta una manciata di basilico, dei peperoni “riggitani” e delle cipolle di Tropea nel calderone e li lascia cuocere insieme ai pomodori lavati, tagliati e svuotati dai semi.

Certo, con la temperatura già alta di suo, stare vicino al fuoco non è il massimo della goduria.

Ognuno ha assegnato un compito: c'è chi sta attento alla pentolaccia e gira il mestolo per evitare che si attacchi sul fondo il pomodoro gettato da chi li taglia. E poi, chi è addetto alla macchinetta trituratrice e chi all'incapsulamento dei tappi. E infine, chi mette le bottiglie, riempite col passato di pomodoro bollente, a riposare nella cassapanca. Niente conservanti o acidificanti. La conserva deve essere al naturale. Bollita e lasciata raffreddare lentamente. Per chi predilige farla col metodo della “febbre”. Mentre altri preferiscono fare bollire le bottiglie riempite e tappate in enormi calderoni dove rimangono fino a quando non raggiungono la temperatura ambiente.
È un lavoro impegnativo. Ma ne vale la pena! A ben pensarci Mamma ha ragione...

lunedì 18 aprile 2016

Saperi antichi e vecchi mestieri

Prima dell'era della plastica i recipienti d'uso comune erano costruiti in argilla, latta, ferro, rame e vimini intrecciati.
Le botteghe artigiane avevano il tipico odore dei manufatti che prendevano forma sotto le mani sapienti dei “mastri”. I maestri rendevano viva la materia, la plasmavano fino a tirare fuori l'oggetto per la casa mentre i discepoli badavano al fuoco della fornace o stavano accanto per passare loro gli attrezzi necessari e il materiale.

antichi mestieri

giovedì 10 marzo 2016

Storie e leggende dal sapore antico

Amuleti e credenze nella cultura arcaica contadina



maschera apotropaica
(studio del M° M. Iannino)


L'anziana pacchiana sbiascica parole incomprensibili mentre segna la fronte della giovane che sbadiglia.

Va va fhora e sta' casa uocchjiu malignu! Lavati lavati a fhaccia cu acqua e sala e sta sempa cu a malizia eccussì u maluocchjiu 'on ti pigghjia e quandu ti sienti muscia vieni ccà eccussì ti sduocchjiu ca si duormi 'docchjiata è pijeju.
Che ha detto? Mi traduci per favore?
Ha detto:
“vai fuori da questa casa occhio invidioso e maligno. Lavati la faccia con acqua e sale e stai sempre allerta così contrasti le energie negative degli invidiosi...”.

Sì sì ma non è ca l'uocchjiu è sulu de' mmbidja po' essera puru d'ammiraziona. Spiega l'anziana sciamana.
La donna, ricca di antica saggezza contadina, pur non parlando l'italiano interagisce e mi confida la sua esperienza di pratica esorcista che mescola preghiere e amuleti contro il malocchio e per schiacciare le negatività dei maligni.

mercoledì 9 aprile 2014

quando nelle case non c'era il wc

I due compari lavoravano alacremente. Si dovettero fermare e puntellare le pareti per evitare di essere sommersi prima di poter continuare a scavare.

La buca fognaria comunale era situata tra le vecchie case del borgo in una stradina stretta ma talmente stretta che consentiva alle comari di scambiare il lievito per fare il pane e altre cose utili dai balconi.

Gli uomini lavoravano in silenzio dall'alba. Ad un certo punto il più anziano si fermò. Passò il dorso della mano sulla fronte e guardandosi attorno valutò che potevano smettere di scavare. È profonda abbastanza! -disse-
Sì. -acconsentì l'altro- Possiamo posizionare le tubature e finalmente da oggi in poi la si fa da gran signori ah ahah ah... -concluse con una grassa risata-

All'epoca dei fatti i servizi igienici erano situati fuori dalle abitazioni, sul ballatoio o dietro la porta d'ingresso. Qualcuno, tra gli agiati, svuotava il pitale in un buco nel pavimento che sfiatava giù in cantina.

Un tempo, all'incirca fino negli anni cinquanta, quasi tutte le case dei borghi rurali erano provviste di “katojio”, una sorta di magazzino utile per albergare l'asino, accatastare la legna, il fieno e allocare la fossa biologica. E chi nn aveva lo scarico dei liquami interno, durante la notte, sovente svuotava il pitale dalla finestra.

L'acqua in casa era una chimera; un sogno avveniristico come il telefono senza fili fino a qualche decennio addietro. I bidoni o le taniche di plastica erano ancora sconosciuti e solo qualche secchio di latta, riempito alla fontana pubblica, fungeva da riserva per le abluzioni corporali.

E i rifiuti? I rifiuti non erano una emergenza ma una risorsa. Persino “a brodata” l'acqua scaldata per lavare piatti e pentole diventava alimento per maiali.

Meditiamo gente meditiamo.

lunedì 4 giugno 2012

c'era una volta in Calabria

Archeologia di un mondo che non c'è più

immagine tratta dal libro "I braccianti in Calabria" di Ledda e Veltri
"attimi di vita contadina"  foto Ledda/Veltri
"I braccianti in Calabria" 1983

Quando la terra si lavorava con la forza delle braccia e l'aratro era trainato dai buoi i contadini vivevano di stenti e di fatica. In quel tempo l'unico sostentamento proveniva dalla terra e dalle colture che il contadino riusciva a produrre. Perciò, il suo problema non era lo spread o la tassa sulla casa e neanche la macchina e i relativi giochetti strategici di Marchionne. Il contadino pregava la Divina Provvidenza, suo unico concessionario di fiducia, affinché facesse piovere nel momento giusto così da ottenere un buon raccolto e ché non si ammalassero gli armenti, l'asino, le capre, il maiale, le galline.

Il contadino si alzava al levar del sole e, bardato l'asino, si avviava a controllare il podere sulla soma del ciuco. Dava l'acqua alle colture attraverso una serie di ruscelli d'irrigazione che lui stesso scavava nel terreno e “stagghiava l'acqua” mandava l'acqua dove era necessaria, estirpava le erbacce infestanti e raccoglieva gli ortaggi e la frutta maturata dal sole.

L'acqua del fiume o della sorgente era di tutti e le regole di buon vicinato, affinché nessuno rimanesse senza, imponevano la turnazione programmata per le innaffiature dei poderi.
Ovviamente i terreni limitrofi ai pozzi d'acqua, alle fiumare o con sorgenti proprie erano le più ricche e ambite.

Gli utensili del mondo rurale erano pochi ma necessari: zappe, vanghe, tridenti, rastrelli, “chjiantaturi” punteruoli autoprodotti con dei rami e servivano per piantare le giovani piantine. Cesti, panieri e cannicci per raccogliere e contenere i frutti o essiccarli al sole.
E poi c'erano i cocci per mangiare o contenere le provviste in salamoia, sotto sale o ricoperti con la sugna di maiale che in dialetto calabrese si chiamano: salàturi, 'nsàlatera, pìgnata, vòzza.
La brocca, (a vòzza) è un recipiente di terracotta che un tempo conteneva l'acqua o il vino oggi è un souvenir.  

lunedì 31 maggio 2010

Storie e realtà calabresi. 10: l’aurora

Storie e realtà calabresi. 10: l’aurora

Racconti di vita in Calabria 1. Tradizioni alimentari: la panificazione.


Maria sta facendo il pane! Guarda…
©archivio M.Iannino


Qeust’espressione, riferita alla Madonna in versione umanizzata dal credo popolare perché associata ai mestieri casalinghi, si sentiva spesso al crepuscolo, quando l’aurora tingeva di rosa le nuvole e l’atmosfera, simile a quella creata dalle madri quando preparavano il forno a legna per la cottura del pane, si tingeva del colore tipico causato dalle frasche che ardevano all’interno del “cocipane”.
L’aria di un caldo rosato, ben nota nelle famiglie contadine, lasciava presagire dolci leccornie associate alla panificazione vera e propria. I bambini sapevano bene che tolto il pane croccante, la mamma riponeva tra i mattoni caldi la pitta ripiena, i cicoli a riscaldare e il panetto bianco.

(segue)

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